* 5 COSE PER CUI ERO PORTATA E POI HO MOLLATO ::

Prima delle vacanze una collega mi ha chiesto di farle un favore: doveva fare una cosa (complicatissima a suo dire) e aveva bisogno di aiuto. O non aveva voglia di imparare a farla, vai a sapere.

L’ho fatta io, un po’ controvoglia per quella cosa lì che ci hanno insegnato da piccoli del dover insegnare a pescare e non regalare il pesce pescato (che poi, ho gugolato ora, ero convinta d’averla sentita al catechismo e invece no: è un proverbio cinese).

Penso sempre di dover raccontare agli altri le cose che so. Non tenere per me piccole scoperte, trucchi utili e nozioni varie, che magari ho faticato pure a scoprire: ore di sonno per leggere, studiare e così via.

Insomma ci siamo capiti.

Intanto io quella cosa lì l’ho fatta, in fretta: sapevo come farla è vero. Ma sapevo di averla fatta di fretta, non solo in fretta. Che è diverso.

Ho guardato il lavoro fatto, sì con poca obiettività – direte – avendolo fatto io, ma m’è parso un buon lavoro.

Ero soddisfatta. E felice di averlo fatto in poco tempo e bene.
Poi, però, ho pensato a tutte quelle sigle che si usano in azienda, come FTE (full time equivalent) o ore/uomo (quando hai a che fare con le agenzie).
Cosa avrei esportato per un lavoro simile se fossi stata un fornitore?
Il tempo che ho impiegato davvero? La verità è che forse ci ho messo poco più di mezz’ora. Ma anche che ho fatto risparmiare ore alla collega che me lo ha chiesto. E se non ore, ore uomo di un’agenzia che fa quel lavoro lì. Ore che quindi si traducono in un risparmio economico.

Non ci pensiamo mai, davvero: le nostre competenze, le cose che sappiamo fare al di là del lavoro che facciamo, valgono. O magari voi ci pensate, sono io che non.

abete mai contento

L’elenco dei lavori che ho fatto prima di laurearmi v’era tanto piaciuto e da un po’ penso all’elenco delle cose che ho fatto, per cui sembrava anche fossi portata e che poi, però, ho mollato ogni volta, però, imparando qualcosa di utile per il passo successivo.

1. PRODUCER 

È forse il lavoro – saltuario – che ho fatto più a lungo. Dal 1998 al 2005 ogni anno mi occupavo di mettere in piedi un pezzo della macchina organizzativa dei fuori onda del Telethon durante la maratona televisiva.
Mancava una pallina sull’albero di Natale che doveva essere inquadrato per 2 secondi: correvo a comprarla.
Sì, non facevo solo questo, mesi prima facevo riunioni e sopralluoghi, contattavo istituzioni locali e media, un anno ho anche organizzato un programma di intrattenimento musicale per far sì che band di ogni tipo si avvicendassero sul palco di 10 piazze d’Italia per far sì che la gente si fermasse e che per i due secondi di ripresa delle palline sull’albero di Natale la piazza non fosse vuota. Ho contattato più di 100 band che hanno suonato gratis ovunque.
Ho imparato a gestire le emergenze e a coinvolgere le persone (capacità che mi sono servite molto nel punto che segue).

LEGGI ANCHE: Quello che so di musica.

2. COMMUNITY MANAGER 

Nel 2008, pochi mesi dopo aver sostenuto l’esame di Stato da giornalista – e prima che Facebook iniziasse, merito anche della traduzione in italiano, a spopolare in Italia – ho cambiato lavoro e ho iniziato a occuparmi di community online.
Ero brava? Avevo l’obiettivo di aumentare il traffico online (e non perdere iscritti).
Ho imparato come animare le conversazioni, non solo in Rete. 

LEGGI ANCHE: A lezione da Chris Anderson.

3. UFFICIO STAMPA

Tra il 2000 e il 2001 ho fatto l’ufficio stampa. Non mi piaceva, ma mi veniva bene, per il motivo per cui poi – spoiler – sono diventata brava a fare la giornalista: sapevo trovare le notizie da proporre. Non mandavo comunicati stampa tutti uguali, cosa che mi è stata utilissima quando sono passata a occuparmi, prima ancora di social network, di digital PR.
Ho imparato che se scrivi mail tutte uguali avrai risposte tutte uguali. O peggio: ti cestineranno tutti allo stesso modo. Anche qui: insegnamenti utilissimi per il punto successivo.

LEGGI ANCHE: “ero brava, ma lo era anche il mio capo”.

4. FREELANCE

Essere freelance non è un lavoro, è vero. Ma lavorare da freelance è come avere un doppio lavoro. Il primo è quello che fai (io ho fatto da freelance un sacco di lavori legati alla comunicazione, uno di questi è stato fare la giornalista per quasi tutto il panorama editoriale italiano, prima di essere assunta come r.o. come si dice, ovvero redattore ordinario), il secondo è lavoro è quello che ti occupa anche più tempo del primo: la gestione amministrativa, ma anche organizzare tempi e modi per non lavorare 18 ore al giorno e guadagnare come se ne lavorassi 6.
Ho imparato che l’organizzazione è tutto. In qualunque lavoro. 

LEGGI ANCHE: Solopreneur. L’organizzazione del lavoro (in proprio) spiegata semplice, di Francesca Marano.

5. GIORNALISTA

Raccontare i problemi di Milano, insieme alle proposte che diventavano (non sempre, ma a volte) soluzioni.
Fare la cronista mi veniva benissimo. Ho lavorato nella redazione de Il Giorno che il sindaco di Milano era ancora Albertini e ci sono stata a lungo durante il mandato della Moratti.

Nella foto qui sopra ci sono io, dopo mezzanotte, in Stazione Centrale. La didascalia della foto nell’archivio fotografico era questa: Milano, Stazione Centrale 2/9/06 – Inchiesta sulla sicurezza: una donna tra clandestini, immigrati e prostitute che popolano la notte in piazza Duca d’Aosta.

Volevo capire e far cambiare le cose, raccontandole.

Poi – avevo un blog da 5 anni – ho deciso di rispondere a un annuncio digitale e cambiare lavoro.

Ho imparato che cambiare fa bene. 

 

SULLO STESSO ARGOMENTO (FORSE):

Tagged: , ,

Privacy Policy