Mi è successo spesso:
vediamo cosa ne pensa il primo che passa.
Come se fosse un test di usabilità, o di comprensione del testo.
L’ho fatto anche io, a volte.
Ho riso quando ho visto le 20 nuove cose da non dire a un grafico.
Ci siamo cascati tutti noi non grafici.
E, ovviamente, io che lavoro nel marketing potrei andare avanti a lungo a far l’elenco delle cose che visto che le so, le ho studiate e conosco tutta la teoria, voglio siano fatte proprio così come le ho immaginate.
Vale lo stesso per le opinioni, su di noi, sugli altri, sul lavoro che facciamo, sulla nostra azienda. E così via.
La nostra opinione non conta, dicevo già.
Questa cosa funziona proprio come la regola dell’1%, una teoria – datata 2006 – di Ben McConnell, scrittore e fondatore di uno studio di consulenza aziendale: su 100 persone 90 sono lurkers (osservatori), 9 contributors e solo una creator. Cosa significa? Che solo 1 persona su 100 crea davvero contenuti (i cosiddetti UGC, user generated content), mentre 9 commentano e 90 leggono e basta.
Cosa significa nella pratica?
Che quando chiediamo alle persone di esprimere spontaneamente la propria opinione non avremo un feedback strutturato tantomeno rappresentativo (non dico statisticamente rilevante: parlo proprio di rappresentatività vaga del campione).
Creator e feedback dei contributor
Non saprai mai esattamente quante persone hanno raggiunto le cose che dici, né l’opinione che gli altri hanno davvero di te, di ciò che fai e dici, ma puoi vedere chi ha lasciato un segno, un commento o un like (i contributor) e ipotizzare – grazie alla regola diMcConnell – che il tuo pubblico attento sia circa dieci volte più ampio (perché c’è un 90% di lurker) e, nel caso di un feedback, che quella opinione sia più condivisa di quel che credevi.
Attenzione, popolarità e ineguaglianza partecipativa
Chi legge o ascolta, ma non lascia traccia, contribuisce comunque ad aumentare l’attenzione verso il tuo contenuto e, quindi, la sua popolarità.
Già prima del Web 2.0 era stato teorizzato il fenomeno della cosiddetta «ineguaglianza partecipativa», quando alcuni ricercatori hanno iniziato a studiare i gruppi formati su Usenet, mailing list e bacheche aziendali. Negli anni Novanta il ricercatore William C. Hill prima, e l’informatico Jakob Nielsen poi, avevano già descritto l’altra faccia della teoria dell’1% di McConnell: prevedevano che il 90% dei contenuti sarebbe stato creato dall’1% delle persone e il restante 10% da un altro 9%. Il 90% delle persone non avrebbe mai prodotto niente. Se ne deduce che il Web non è un campione rappresentativo: che tu sia un politico o un imprenditore, rischi di sentire sempre solo il parere degli utenti che partecipano attivamente, che sarà molto diverso da quello del 90% di cui non avrai mai notizie.
La regola dell’1% ovviamente va adattata a diversi contesti. Sui blog le quote sono ancora peggiori: 95% lurker, 5% contributor e 0,1% creator. Il 99% di chi usa Wikipedia non ha mai scritto anche una sola parola, e la metà dell’intera enciclopedia è stata costruita da appena lo 0,7% degli utenti.
Si può sconfiggere la regola dell’1%?
No, ma si può ambire a percentuali più proporzionate con alcuni accorgimenti: rendere più semplice partecipare, fornire modelli prestabiliti per non chiedere a chi non è particolarmente creativo di costruire qualcosa da zero, ricompensare (ma non troppo) chi partecipa, reagire in qualche modo ai comportamenti dei lettori e promuovere i contributi migliori.
Per approfondire:
- Perché la Filter Bubble è (anche) colpa tua, di Filippo Marano
- Microcopy: 5 cose che dovremmo imparare tutti, di Valentina Ziliani sul perché le parole che usiamo generano azioni (e feedback) differenti
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