Entro nella sede dell’azienda dove lavoro intorno alle 9.30, presto rispetto a un tempo quando arrivavo anche un’ora dopo. Prestissimo in confronto agli orari di quando lavoravo come cronista: i giornali chiudono alle 22 o poco dopo. Una volta alla settimana facevo il turno fino all’1 per la seconda ribattuta, di solito si aggiungevano solo brevi di cronaca nera. In redazione entravo, di conseguenza, anche dopo le 15.
Orari flessibili, anche se flessibili non sono, soprattutto quando devi andare a cercare le notizie per strada o quando devi correre sulla notizia: campi rom sfollati al mattino presto, assediati dopo mezzanotte, suicidi e omicidi senza orario, oltre che senza ragione.
Oggi vengo pagata per lavorare 8 ore al giorno, ma spesso durante la pausa pranzo parlo di lavoro: lavoro 9 ore, ma solo 9?
No, anche durante le due ore che faccio di viaggio, una all’andata e una al ritorno, smaltisco la posta o metto in ordine le idee: sono sempre preparata su tutto. Leggo tutte le mail in cui sono in copia. Tutte. Sono tantissime.
Only hard workers are still in the office on friday afternoon. That's why i'm leaving in 10 minutes
— Luca Sartoni (@lucasartoni) January 28, 2011
Anche oggi, a fine di una lunga e impegnativa settimana, però, mi toccherà giustificare perché vado via… prima.
Eppure, rispondo a mail anche nel weekend, quando – spesso – metto in ordine appunti per presentazioni, piani di lavoro, quando non devo anche essere online.
Spesso, poi, è proprio nel week end che ho più tempo per leggere le ultime novità, vedere cosa fanno gli altri, farmi venire idee nuove.
A me piace, lo ammetto, sono una workhaolic, ma come lo faccio capire alle persone che mi vedono andar via venerdì alle 18?
Il difetto di noi digitali è che non abbiamo una fabbrica da cui uscire, cit. 7th guest (che era su friendfeed).
Vi racconto una storia
Anni fa un ragazzo che conoscevo, un ingegnere, andò a lavorare per una società in America che collaborava con la Nasa.
Ogni sera era l’ultimo ad andarsene.Un giorno il suo capo lo chiamò per dirgli che non erano contenti di lui perché avevano notato che lavorava fin dopo l’orario di lavoro e la cosa non era vista bene:
«Ti abbiamo dato un lavoro da fare entro un orario stabilito, se ci metti più tempo del previsto forse non è il compito adatto a te».
Sinceramente rispose:
«In Italia non è così: se hai finito il lavoro che hai da fare mica puoi andare via».
Nei giorni successivi andò via nell’orario stabilito dal suo contratto. Lavora ancora lì.
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Mi ci rivedo moltissimo, so che a te piace da morire, ma io adesso non ce la farei più. Dopo aver assaggiato il brivido della P IVA, del lavoro come freelance, è davvero difficile tornare indietro.
Io purtroppo non stacco mai, nel senso che lavorando da casa non ho uno spazio del lavoro ‘da lasciare’ per vedere come ‘extra’ tutto quello che di lavorativo avviene fuori. Lavoro alle 8 di mattina come all’1 di notte, certo non consecutivamente, ma è psicologicamente stressante. Più che workaholic sono always-on, volente o nolente.
Quando lavoravo in azienda/agenzia quello che notavo era sì un carico di lavoro tale per cui spesso si usciva tardi (tutto non retribuito, of course) ma anche una sorta di presenzialismo vizioso e inutile guidato dagli stessi dipendenti. Alcuni scambiavano il talento e l’impegno con la testa china sul tavolo alle nove di sera, anche se non avevano davvero niente di urgente da fare.
Se un giorno mi capitava di finire davvero allo scoccare delle 8 ore pagate e facevo per prendere la giacca e andarmene, mi chiedevano ironicamente se volessi fare mezza giornata.
Una volta ho chiesto: lavoriamo sullo stesso progetto, oggi non c’è un’emerito cavolo da fare, perché non esci anche tu?
Risposta: perché sono le sei e mezza.
Il digital comunque è un discorso diverso, con i lavori offline c’è gente che col cavolo legge le mail di sabato mattina o di giovedì alle dieci di sera. E fanno pure bene, aggiungo.
Certo, se poi parte integrante del tuo lavoro è restare informata, aggiornarti e seguire novità e discussioni in rete è impossibile non ‘lavorare tanto’, se di lavoro si può parlare. In fondo è anche divertente…
Fesserie. Hanno ragione i capi del tuo amico, “fare i fighi” rimanendo in ufficio fino a tardi è tipicamente da lavoratore italiano che vuol far vedere quanto lavora. Ma il valore del lavoro non viene misurato solo in ore lavorate (lavoro 20 ore al giorno, anche nel weekend, QUINDI sono un gran lavoratore) ma nella qualità dei risultati ottenuti. Se siete drogati dal lavoro fatevi curate, avvelenate solo il sistema così…
concordo, io sono malata di lavoro, ma non dello star seduta in ufficio
…ma sono due facce della stessa medaglia, è sempre e comunque un modo “non sano” di vivere il lavoro. Io quelli che in pausa pranzo parlano di lavoro, sul treno casa/ufficio parlano di lavoro, con gli amici parlano di lavoro… li manderei a lavorare in fabbrica, poi vedi come cambia l’andazzo. Il problema dei digitali non è che non hanno una fabbrica da cui uscire, ma che molti di loro dovrebbero farsi un bello stage in fabbrica…
Gran bell’articolo.. siamo una nuova generazione di lavoratori.
Negli anni 70 le battaglie sindacali si facevano per ottenere diritti rigidi, fissi, blindati.
Oggi invece, se facessimo un sondaggio, molti di noi chiederebbero flessibilità, obiettivi da raggiungere per mostrare efficienza e produttività.
Penso anch’io che questo modo di ragionare sia parte del retaggio di aziende/agenzie italiche che troppo spesso non danno il giusto peso alla qualità del lavoro vs la quantità delle ore spese in ufficio… e nonostante la reperibilità del “alway on mode”, come diceva machedavvero, alla fine ti trovi a dover giustificare l’uscita alle ore 18.00 di un venerdì!!!
Credo (e spero) che anche da noi si arriverà alla filosofia di pensiero della società americana del tuo racconto… ma prevedo ci sia ancora moooolta strada davanti a noi!
Pensa che io sono ancora un passo indietro: mi richiedono sempre più competenze in comunicazione digitale, ma se il capo mi trova su FB o twitter pensa ancora che mi stia facendo gli affari miei!!
IL punto è la mentalità e la cultura italiana del lavoro che è ancora, purtroppo, quasi del tutto incentrata sul presenzialismo e su orari rigidi.
Più stai in ufficio, più vali.
Presenzialismo fine a se stesso e zero flessiblità.
Quando cambierà questa mentalità?
Io non ho alcun orario in cui devo andare in ufficio e non ho un orario a cui uscire. Contrattualmente devo garantire un tot di ore lavorate settimanalmente e devo garantire una fascia oraria in cui presumibilmente sono in ufficio. Per il semplice fatto che se qualcuno mi cerca, deve potermi trovare.
Ad ogni modo da noi ognuno entra quando vuole ed esce quando vuole, avvertendo il proprio team e cercando di essere raggiungibile sempre via telefono.
Credo che sia un problema del tutto italiano quello di “se non soffri non stai lavorando”. A me soffrire non è mai piaciuto e quindi me ne sono andato appena è stato possibile.
Sono esattamente nella tua situazione. Due ore di viaggio, 8 ore abbondanti di lavoro. Eppure agli occhi di qualcuno sembro uno che non lavora tanto. Nonostante sia sempre “on line”
Questo post è davvero interessante, il “non detto” delle vite di molti. Addirittura a volte ho avuto compagni di sventura complici nel fingere di avere ancora altro da fare fino a tardi per non essere quelli che erano riusciti a finire il lavoro alle 6 al contrario di tutti. Posso lavorare e rispondere alle mail o al telefono sempre se ce ne è bisogno, ma quando ho esaurito le cose da fare restare a perdere tempo è una sofferenza!