* L’ANNO IN CUI HO DECISO DI IMPARARE A BALLARE ::
Un anno fa salivo sul palco del TEDx di Verona e grazie a Tatiana Cazzaro avevo anche preparato la seguente coreografia: «Fai un passo avanti per rafforzare un concetto, non indietreggiare mai mentre parli».
Poi son salita sul palco e spero di aver fatto tutto giusto ché io non ho ancora avuto il coraggio di rivedermi.
Appena scesa mi sono detta che avrei potuto essere più brava, ma lì sul palco so di aver fatto quel passo avanti.
E non mi dite che è facile perché non ci ho neppure mai provato.
Cioè una volta sì e non mi sono divertita. E mi sono arresa. Avevo 18 anni e fin qui non ho mai cambiato idea.
Ma quest’anno ho pensato che potevo provarci a capire se davvero ero incapace a coordinare braccia e gambe e, no, non ho provato a fare una guida di prova, ma mi sono iscritta a un corso di ballo. E insieme a me – che non si dica che non abbia la capacità di coinvolgere le persone – ci sono anche Francesca, Monica e Annalisa, con rispettivi accompagnatori (me esclusa, ma questo capitolo è a parte).
Come sono arrivata fin qui?
Quindi, mentre avevo tanta voglia di ridere mi sono ritrovata in un locale in cui facevano il karaoke e quando lo raccontavo con entusiasmo tutti mi dicevano che era divertente e la parte divertente credo fosse che tutti sapevamo le peggio canzoni di un tempo passato.
Quella sera non ne ho cantata una, sia chiaro. E la chat organizzativa di una serata karaoke non è servita a organizzare nulla. Ma dal karaoke alla serata anni ’50 è stato un attimo. E lì – vestita di tutto punto – ho provato quattro passi mezza volta e una settimana dopo avevo già raccontato a tutti che a Milano si trovano corsi di ogni cosa e avevo già una nuova chat organizzativa per andare a lezione.
Il segreto è aprire una chat per ogni cosa, è evidente.
E ora so fare tutti quei quattro passi, anche se non conto i tempi. E mi lascio guidare perché ho capito che funziona solo se non devo fare tutto io.
Colleziono passi avanti. E questo ne vale un po’.
E la foto su non è mia, e neppure stanno ballando rockabilly (che è quello che sto imparando io), ma lindy (parola che ho imparato ieri).
*IL MIO TEMPO RISPARMIATO ::
Ieri sera ho fatto la spesa, ero sul divano a guardare la tv. Poi mi sono ricordata che dovevo prenotare un treno e ho fatto pure quello. A volte ho ordinato la pizza su Deliveroo che ancora ero in metropolitana e spesso quando dimentico qualcosa all’ultimo momento uso Amazon Prime Now.
Io neppure ci penso più al tempo che sto risparmiando evitando la coda alla cassa o in biglietteria. E quanti minuti in più posso poltrire, leggere, decidere di passare mezz’ora piena a cercare quale serie tv iniziare su Netflix per addormentarmi poi prima ancora di cliccare play.
E poi ci sono i posti in cui vado perché ne ho scoperto l’esistenza online, come il Pixel Picnic e la scorsa settimana il Wunder Mrkt a Villa Litta, un posto bellissimo e un mercato delle meraviglie: fiori, tanti fiori; craft, troppo craft; e illustratori, ma anche cose vecchie e antiche con nuovi usi, come quelle tazzine appoggiate sul calice che mi piacevano tanto ma lì avevano pensato di metterci dentro delle piante grasse e ho chiesto se potevo averle senza:
– Ma queste non le vendiamo online.
– Come no?
– Cioè sì ma solo se ci scrivi via mail.
E quindi è finita lì e io sono tornata dal Wunder Mrkt senza aver comprato nulla. Ma con un indirizzo a cui scrivere e account su Instagram da seguire.
È vero che Internet penalizza i piccoli? Secondo me no: compro una buona salsa di pomodoro online da una cooperativa agricola di Salerno che ho scoperto grazie a Internet e biancheria di cotone da un laboratorio di produzione in provincia di Ravenna. Da loro, direttamente. Perché non solo hanno cose che mi piacciono, ma anche l’ecommerce è fatto bene.
Perché l’ecommerce non cambia i prodotti o la storia delle aziende ma le trasforma, facendo trovare nuovi clienti, nuovi ospiti.
Quindi perché non posso comprare tutto online?
Il 10 e 11 maggio al MiCo di Milano c’è la XII edizione del Netcomm Forum, l’evento del Consorzio del Commercio Elettronico Italiano (che è nato 25 anni fa) con 60 workshop e 160 relatori in due giorni che si alterneranno per parlare di customer experience, pagamenti, logistica e pure di marketing digitale e analytics con focus su fashion, design, food e travel.
Ah, sì se volete partecipare al Netcomm qua c’è il programma e qui potete usare il codice sconto neTcoMM2017 (che vi fa avere il biglietto a 90€, invece che 130€).
Tra l’altro – cose che a me piacciono assai – se vi iscrivete potete usare iiMerge, una piattaforma di business matching per fare – tra un workshop e l’altro – un po’ di utile networking con incontri mirati one to one di 30 minuti con gli altri partecipanti e conoscere nuovi business partner e clienti.
Magari ci vediamo lì.
Foto di Polycart
* TRASFORMARE LA FATICA IN UN PUNTO IN PIÙ ::
Follia è fare sempre la stessa cosa e aspettarsi risultati diversi,
Albert Einstein
Pensando come una delle bambine ribelli credo sia utile togliere, non aggiungere, per superare il livello successivo.
Togliere i fronzoli, le maschere di protezione. E sono settimane che penso a Jury Chechi che – a Make It Simple – ha raccontato di quando ha iniziato a mascherare lo sforzo nell’esercizio degli anelli, una cosa che non veniva valutata dai giudici con un punto in più, ma piaceva. A tutti (anche ai giudici).
E da lì hanno iniziato a provarci tutti a far come lui.
#makeitsimple: rispetto delle regole, tanta fatica ❤ pic.twitter.com/0UpyZ1pRAM
— Domitilla Ferrari (@domitilla) April 7, 2017
E ci penso da settimane perché mica lo so se è bello così: fare uno sforzo in più, mascherare la fatica, per dar meno pena agli altri.
Mica lo so se è bello per davvero rispondere «Tutto bene, grazie» quando qualcuno ti chiede: «Come va?» per non dar pena a nessuno, perché io a volte rispondo: «Fammi un’altra domanda» rimandando i dettagli a una conversazione successiva. Quando si può.
Però, niente da dire, bravo Jury Chechi ché di quelli che si lamentano per nulla ce ne sono fin troppi e un esempio di cosa si può fare senza far pesare il dolore male non fa.
Per approfondire:
– A che serve lamentarsi?, Oliver Burkeman
– Chi l’ha detto che non c’è niente da ridere?, Annamaria Testa
…
Poi io a Make It Simple sono stata intervistata subito dopo Jury Chechi e magari prima o poi vi faccio un riassunto, intanto una cartolina-ricordo:
Il nuovo mantra è KISS, keep It simple stupid. Solo così la tecnologia può farci innamorare di lei. #makeitsimple @domitilla pic.twitter.com/godRCrFqBR
— Nicole Zavagnin (@borninspring) April 7, 2017
* CHE BISOGNO C’È DI BAMBINE RIBELLI? ::
Cos’hai fatto nel weekend?
Io ho ballato, fatto giardinaggio, sono stata in compagnia e ho letto, tanto.
Ho iniziato e finito Atti osceni in luogo privato e ora ho voglia di romanzi francesi, passeggiate sui Navigli e brasserie.
Ho iniziato e finito (sì Gianluca: ho letto tanto, puoi non essere d’accordo) Cara Ijeawele ovvero quindici consigli per crescere una bambina femminista.
Tra questi ci sono: leggere e bandire l’ansia di compiacere.
Che non si ripete mai abbastanza.
Ma quindi servono i libri per le bambine ribelli?
Tutto serve. Anche i periodi difficili, le storie complicate, le grandi rivelazioni, gli errori e i fallimenti. E serve tutto per sapere che puoi sopravvivere a tutto. E che la vita ti porta dove devi andare: a volte a ‘fanculo.
Questa su sono io (con le mie amiche di scuola: una oggi è la mia commercialista, l’altra la persona che mi fa ridere tantissimo e sempre di tutto, anche delle tragedie).
Ho fatto la ragioneria, a Mondragone (e questo lo sai già). Ero una ragazzina con un sacco di interessi. Mi piaceva imparare le cose. Leggevo i giornali e i libri presi in prestito dalla sfornita biblioteca, ma per un periodo lungo ho fatto una cosa davvero bella: disegnavo quello che volevo indossare, sceglievo i tessuti tra gli scampoli e mia mamma realizzava il cartamodello e poi confezionava giacche, pantaloni, vestiti, camicie anni ’60 bon ton. Ho tante foto di me quelle estati vestita, fuori tempo. A volte in anticipo, a volte in ritardo.
I pantaloncini qui li avevo disegnati io.
Era il quinto anno di superiori, io come metà della classe ancora non avevamo comprato i libri.
Interrogazione di ragioneria, impreparata presi 3.
Andai a prendere il libro, iniziai a studiare. Chiesi di essere interrogata per riparare e non succcesse mai.
«Sei bella, non puoi essere anche intelligente».
Mi disse così un giorno il professore per spiegarmi che non mi avrebbe mai interrogata, intanto facevo i compiti in classe che andavano così e così, la media si alzava ma non abbastanza: arrivai alla maturità con la media del 5 in ragioneria, che manco a dirlo… era materia d’esame.
Alla fine m’importava poco, dicevo: mi serviva solo diplomarmi con almeno 50/60 per chiedere la borsa di studio all’università.
Uscii con 52 e grandi festeggiamenti miei e del mio fidanzato di allora che andava a Napoli all’università e sapeva che c’era da festeggiare (con me – che da sempre – che festeggio poco volentieri occasioni e ricorrenze). Bisognava festeggiare perché non era scontato. Non era scontato per niente: mia mamma provò in tutti i modi di farmi andare a studiare in una città vicina dove aveva appena aperto una sede distaccata della facoltà di Napoli, 20 minuti di autobus da casa.
Feci l’abbonamento per Roma, andata e ritorno in giornata: due ore al mattino con sveglia alle 5 per essere seduta in prima fila alla lezione delle 8 in aula magna. Alle lezioni di Fondamenti anatomo-fisiologici dell’attività psichica ho conosciuto quelli che ancora oggi sono pezzi della mia vita, compreso un altro fidanzato.
Ma avevo bisogno di essere brava. Dovevo farcela ed era faticoso.
E allora decisi di essere brutta.
Ero bella? Avevo paura di non poter essere anche intelligente.
E questa con gli occhiali grossi, il maglione oversize e le scarpe col tacco di legno grosso sono ancora io, come sono stata per un po’ di anni, come mi hanno conosciuta tanti di quegli amici che poi mi hanno vista fare mille cose, quelle che raccontavo qua.
Oggi però ho voglia di essere bella, ché intelligente ora so di esserlo e non doverlo dimostrare tendendo a bada i capelli, mettendo sempre la giacca, lasciando a casa – per un tempo libero che non mi godevo più – le maglie con le paillettes.
Allora cosa faccio il mio prossimo weekend libero? Prendo appuntamento con Cristina e passo una giornata a far cose da femmina che come dice lei:
Togliere, non aggiungere. Per superare il livello successivo.
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