Qualche settimana fa ho pranzato con Laura Schirru che ho conosciuto un paio di anni fa durante una lezione che ho tenuto nella facoltà di sociologia alla Bicocca.
Per chi non lo sapesse è segretario di circolo da quando aveva 21 anni, consigliere comunale a Parabiago da un anno, ha partecipato attivamente alla campagna di Sala ed è stata selezionata per frequentare Classedem, la prima scuola di formazione del PD.
Aggiungo che tra 10 anni se non è ministro come minimo io non so che dire.
Laura è nata nel 1992 e io quell’anno lì stavo decidendo a quale facoltà iscrivermi.
Abbiamo parlato di generazioni e dell’interesse alla cosa pubblica della mia generazione che lei non vede rappresentata. E che neppure se ne preoccupa, la mia generazione dico.
Quelli della crisi dei 40. Anno più anno meno.
Premessa: sono cresciuta in Campania, in un paese che è il titolo di un capitolo di Gomorra, ma questo lo sapete già. Dopo essermi decisa a leggere la Ferrante ho iniziato a riconoscermi nei racconti di Lenù.
Lenù e Lila dovrebbero avere l’età di mia madre, circa, non la mia. Eppure io quelle cose lì le capisco tutte. Le ho vissute, se non direttamente erano comunque intorno a me. Andare alle medie non era mica scontato e pure meno se eri femmina. Una mia amica, due anni più di me, le medie non le ha fatte: le era venuto il ciclo, era diventata una donna, il suo futuro: diventare moglie, poi mamma. E così fu. Oggi ha un figlio di vent’anni. Anche io sono diventata mamma, 12 anni dopo.
I primi anni di superiori ogni tanto andavo a trovare un’amica che passava i pomeriggi a piegare le magliette dei fratelli mentre loro uscivano, dopo la scuola, lei ne accoppiava i calzini. Dopo le superiori loro si sono iscritti all’università. Lei no.
Non è per sentito dire che so esattamente cosa racconta Lenù.
Anni fa un mio compagno di classe delle medie che avevo perso di vista mi scrisse per raccontarmi che stava per candidarsi alle comunali del paese. Gli chiesi con chi. Mi disse che non era importante, era importante che la cittadinanza iniziasse a partecipare alla risoluzione dei problemi.
E fin qui tutto bene.
Allora gli chiesi che programma aveva.
Mi disse che non era importante, era importante che la cittadinanza iniziasse a sentirsi rappresentata.
Bene: allora parliamo dei problemi. Quali pensi di dover risolvere prima?
Sparì.
Non so che fine ha fatto, comunque, servisse dirlo si stava candidando con il Movimento a 5 Stelle o – non lo so – con la lista non ufficiale che vi si ispira senza sottostare ai famosi controlli sui carichi penali. Poi dite i napoletani: a chi altri poteva venire in mente un’idea simile?
Comunque questa è gente della mia età, che non si è mai presa la colpa di nulla. Quella di non aver voluto far sentire la propria voce, di aver taciuto, per iniziare.
Quando a Firenze Renzi è andato ad aprire il Wired Next Fest, in un paio di momenti – parlando di miti sportivi e cinematografici di tempo fa – ha sottolineato di essere vecchiotto.
Perché poi la finiamo, vero, di dire che a 40 anni siamo giovani no?
Ieri Matteo Renzi ha annunciato le sue dimissioni: a «Grazie ad Agnese» ho detto bravo, ad alta voce, da sola; a «In bocca al lupo a tutti noi» ho applaudito.
Ché a 40 anni uno può essere un buon esempio. Per tutti noi.
Chi lotta per un’idea non può perdere, dice.
Venerdì ero con Diamara e da lontano (lontano) vedo il tram che dovevamo prendere che stava già arrivando alla fermata. Io avevo la mia borsa su una spalla, il suo zaino sopra e avevo pure fatto la spesa in panetteria. Le dico che possiamo anche non correre, perché il tram è più veloce di noi.
– No, mamma, non arrenderti. Bisogna sempre provarci.
Io lo so che ora sembro una di quelle mamme che i figli sono tutti geni. Ma questa qui a 7 anni venerdì mi ha fatto correre, ridere, riposare un secondo e poi il tram lo abbiamo preso. Col fiatone, tutte e due.
È una fatica dare il buon esempio, ma dà sempre buoni frutti.