Il (mondo del) lavoro è cambiato. Si studia per anni senza saper far nulla. Non c’è più la gavetta, ma ci sono stage mal gestiti e lavori mal pagati. C’è la crisi. Le aziende non assumono e, anzi, licenziano. Sono d’accordo, ma lamentarcene senza far nulla non farà cambiare le cose.
È vero che il lavoro non c’è? Serve cambiare prospettive, puntare su competenze e lavori e smetterla col ricatto del lavoro dal nome che fa scena.
Facciamo insieme un elenco dei luoghi comuni che si ripetono sul mondo del lavoro?
Che niente è più lo stesso, che non c’è più il posto fisso, che i giovani devono cambiare prospettive (se non Paese). Perché solo i giovani, poi? Tutti noi dobbiamo cambiare prospettiva: il lavoro è cambiato, va bene, ma ora smettiamo di dirlo.
L’ho scritto in Due gradi e mezzo di separazione, a pagina 119, dove racconto anche che una delle categorie più cresciute in più negli ultimi anni è quella dei freelance.
Qui, invece, è dove ti consiglio di andare a fare una gita a Marina Romea il 24 e 25 maggio per il freelancecamp. Perché in due giorni che tu sia freelance, che tu finga di esserlo o che fingere che tu lo sia è l’azienda per cui lavori, o che tu stia pensando a mollar tutto e darti da fare questa è l’occasione per incontrare professionisti che ce l’hanno fatta e che racconteranno come organizzano il proprio lavoro, come fanno rete, come usano la Rete.
Lamentarsi non porta da nessuna parte.
Volevo scrivere una cosa lunga sul lavoro, di nuovo, ma poi Giulia Blasi, parlando del concerto del primo maggio e delle ricorrenti (e inutili) polemiche sul lavoro, lo ha fatto meglio chiedendo:
perché gli americani hanno inventato Facebook, Twitter, Google e noi no? Siamo più scemi, o semplicemente non riusciamo a immaginarci più nulla oltre l’esistente?
Magari non siamo tutti dei geni, ecco, però c’è qualcosa di stantio nel modo in cui si pensa al lavoro ed è innegabile.
Se vieni allevato con l’idea che qualcuno ti debba “dare lavoro’, che il lavoro sia un diritto che deve essere garantito a vita dalla “politica‘ e dalle imprese, non ti resta molto spazio per l’immaginazione e per inventarti non dico un modo per campare, ma addirittura – cielo! – un modo per fare a tua volta impresa, per creare lavoro e per dare lavoro a chi non ce l’ha.
(…)
Il problema, ovviamente, è anche che la narrazione del lavoro è attualmente affidata per intero ai sindacati che difendono un settore specifico dell’economia italiana, ovvero il manufatturiero e le fabbriche. Ma non c’è più solo quello, anzi, al contrario: mentre i sindacati si aggrappano a un’idea di lavoro ormai limitata quando non proprio obsoleta, il famoso terziario avanzato langue, senza rappresentanza, senza narrazione e in apparenza senza necessità specifiche.
Il post di Giulia Blasi vale anche per la raccolta: Del perché non si cancellano i commenti. E io non ho altro da dire. Applausi.
Link di post in cui parlo di cose di lavoro:
* PERCHÉ NON ABBIAMO INVENTATO NOI FACEBOOK, TWITTER E GOOGLE? ::
Il (mondo del) lavoro è cambiato. Si studia per anni senza saper far nulla. Non c’è più la gavetta, ma ci sono stage mal gestiti e lavori mal pagati. C’è la crisi. Le aziende non assumono e, anzi, licenziano. Sono d’accordo, ma lamentarcene senza far nulla non farà cambiare le cose.
È vero che il lavoro non c’è? Serve cambiare prospettive, puntare su competenze e lavori e smetterla col ricatto del lavoro dal nome che fa scena.
Facciamo insieme un elenco dei luoghi comuni che si ripetono sul mondo del lavoro?
Che niente è più lo stesso, che non c’è più il posto fisso, che i giovani devono cambiare prospettive (se non Paese). Perché solo i giovani, poi? Tutti noi dobbiamo cambiare prospettiva: il lavoro è cambiato, va bene, ma ora smettiamo di dirlo.
L’ho scritto in Due gradi e mezzo di separazione, a pagina 119, dove racconto anche che una delle categorie più cresciute in più negli ultimi anni è quella dei freelance.
Qui, invece, è dove ti consiglio di andare a fare una gita a Marina Romea il 24 e 25 maggio per il freelancecamp. Perché in due giorni che tu sia freelance, che tu finga di esserlo o che fingere che tu lo sia è l’azienda per cui lavori, o che tu stia pensando a mollar tutto e darti da fare questa è l’occasione per incontrare professionisti che ce l’hanno fatta e che racconteranno come organizzano il proprio lavoro, come fanno rete, come usano la Rete.
Lamentarsi non porta da nessuna parte.
Volevo scrivere una cosa lunga sul lavoro, di nuovo, ma poi Giulia Blasi, parlando del concerto del primo maggio e delle ricorrenti (e inutili) polemiche sul lavoro, lo ha fatto meglio chiedendo:
Magari non siamo tutti dei geni, ecco, però c’è qualcosa di stantio nel modo in cui si pensa al lavoro ed è innegabile.
(…)
Il post di Giulia Blasi vale anche per la raccolta: Del perché non si cancellano i commenti. E io non ho altro da dire. Applausi.
Link di post in cui parlo di cose di lavoro: