Si dice che il modo in cui ci raccontiamo definisce il modo in cui ci vedono gli altri. Vale anche per il lavoro. No, non sto dicendo che se dico di essere una persona geniale o innovatrice ci crederanno. No. E non ti sto suggerendo di farlo. Ma converrai che la narrazione è oggi alla base di successi, fallimenti, passaggi repentini sulle pagine della cronaca e altrettante veloci fughe nel dimenticatoio.
Come raccontiamo il mondo del lavoro?
Vecchio, da svecchiare, maschile. Alcune di queste affermazioni sono vere fuor di dubbio. Anni fa si diceva anche che un uomo sposato era più affidabile e faceva carriera più velocemente, perché «ha messo la testa a posto» e poi si sa, in casa gli uomini non fanno niente, quindi anche metter su famiglia è faticoso soltanto per le donne, che infatti non fanno carriera per lo stesso motivo e sicuramente non vengono considerate più affidabili perché hanno bambini, anzi. C’è bisogno di dirlo? I tempi sono cambiati, certo, ma l’età media dei manager in Italia è di 50,2 anni (rispetto alla media dei manager europei che è di 45,2 anni, secondo i dati elaborati da Manageritalia), quindi sì, quei capi, uomini, la pensano ancora così. Io l’ho sentito dire pochi anni fa. Sono andata a controllare: 6 anni fa, non di più. Ricordo il collega coi confetti e il nostro capo. Non uno dei peggiori che io abbia avuto, ma sicuramente uno che aveva imparato a essere così dal suo capo, e dal capo del suo capo. Tutti maschi una casellina dietro l’altra dell’organigramma, per anni.