Due week end fa ho letto un vecchio post di Danilo Masotti.
Un post su #4euroalpezzo: ovvero la questione della (ridicola) retribuzione dei collaboratori dei giornali, ma non solo. Per questo c’è anche #nofreejobs.
Leggetelo: Lavorare gratis, no grazie.
Ho scritto le mie considerazioni e, come da tradizione, le ho lasciate in bozze.
Eccole qua.
Premessa
1800 euro è lo stipendio che prende mio fratello che lavora con contratto a tempo indeterminato in un grosso supermercato.
Lavora lì da più di 10 anni. Oggi lui ne ha 35.
Con lui lavora un ragazzo laureato in Archeologia che sogna di partecipare alla scoperta di un’antica civiltà, che sogna di andarsene, fare qualcosa di bello che farà a meno di quanto guadagna ora al supermercato.
La (mia) storia
Quando sono arrivata a lavorare a Il Giorno avevo un contratto di collaborazione firmato nel 2001 per 100 mila lire al pezzo, diventate 52 euro poi. Ho iniziato a collaborare nel 2005 con la cronaca locale senza neppure chiedere quanto e come sarei stata pagata.
Dopo un mese chiedo: 7 euro per i pezzi oltre le 3000 battute, meno di 3 euro gli altri.
Per fortuna avevo già scritto tanto. Non per fare la somma.
Aver scritto molto significava aver trovato gli argomenti giusti da proporre: se un collaboratore viene pubblicato significa che ha avuto buone idee.
No, essere una bella penna non è una discriminante. Scrive gente dall’italiano improbabile (lo so, ho lavorato anche in redazione, poi, a passare i pezzi degli altri).
Su tutto vince la disponibilità. Scoppia una bomba alle 4 di domenica mattina: ti chiamano, ti vesti, esci.
Anzi, meglio se sei già lì e li chiami tu.
Comunque la mia disponibilità aveva un prezzo.
Vado a parlarne colla caporedattrice alla quale vendevo quotidianamente i pezzi. Mi riempie di complimenti e mi dice di essere paziente e di non andarmene.
Non me ne vado.
Collaborerò per anni prima di entrare in redazione con un precariato non precario (cit.) che mi permetteva di collaborare tra un contratto e l’altro a 47 euro a pezzo sopra le 30 mila battute e 30 per quelli più corti (sì, dal passaggio dal Quotidiano Nazionale alle pagine locali la paga s’era un po’ ridotta).
Ho tenuto una pagina con 2 pezzi corti e uno lungo per un bel po’.
Ci ho scritto la mia tesi di laurea su quella pagina. Dopo tanti anni, quindi, mi sono laureata e ho anche fatto l’esame di Stato.
Nessuno mi aveva mai chiesto se fossi laureata o giornalista professionista. Lavoravo per guadagnare soldi, non per la gloria.