* COME DIVENTARE TWITTER ADDICTED ::

Carlo Giuseppe Gabardini è su Twitter da un mese. Se non sapete chi sia è bene che andiate a vedere su Wikipedia, è anche lì. Dal suo primo tweet ha colpito il cuore (sto esagerando, sì lo so) di oltre 1200 follower.
Come? Scrivendo in continuazione – verosimilmente di fatti suoi – e rispondendo a tutti… anche a me.

Carlo Gabardini su Twitter

Hai Twitter da un mese e ne sembri entusiasta, ma perché non hai un blog?

Apri un blog, apri un blog, apri un blog. Sono anni che tutti mi dicono che dovrei aprirne uno, e ci penso spesso e mi piacerebbe; ma non l’ho mai fatto perché la mia paura è non sapere cosa scriverci.
Twitter in qualche modo è ciò che m’ha fatto superare l’ansia da primo post, che permane tutt’ora, ma intanto ho superato l’ansia da primo tweet. Un passo alla volta.  Io già scrivo, per lavoro; ai comici non piace dirlo, ma c’è quasi sempre qualcuno che scrive per loro le battute, io ho scritto per diversi comici. Ma qui è diverso, perché non uso più il filtro dell’artista per parlare; in qualche modo su twitter è la prima volta che scrivo per me, che scrivo in prima persona e soprattutto che mi faccio leggere firmando solo col mio nome, prendendomi la responsabilità.
Credo che lo saprei pure scrivere un lungo post sulle Diana blu morbide, ma poi – mi chiedo – a chi interesserebbe leggerlo? Su Twitter mi pare di disturbare meno.

Carlo Gabardini su Twitter

Come ti trovi con i 140 caratteri, come fai quando un pensiero è troppo lungo?

Mai postato un tweet che sforasse. Però troppo spesso uso tutto lo spazio che ho, tutti i 140 caratteri. Twitter ti obbliga a riscrivere un pensiero finché non entra in questo limite. È scrittura pura, perché in qualche modo ti costringe a ciò che è la scrittura, ovvero riscrittura.
Twitter è stupendo: è una lezione bellissima per chi scrive. E non solo per ciò che riguarda la composizione del tweet, ma anche per ciò che è la reazione di chi legge. Twitter ti mette a posto in tempo reale. Magari scrivi una cosa, pensi che sia una genialata, fai anche quello contentino che ha scritto una cosa bella e poi controlli: nessun retweet, nessuna risposta. Allora capisci che quello che pensi tu, c’entra poco con quello che pensa chi ti legge; Twitter ti sbassa l’ego. Spesso poi rileggi il tuo tweet e magari ti giustifichi pensando alla fruizione di twitter, che magari ti hanno letto velocemente in metropolitana, ma in realtà se non gli è piaciuto quello che hai scritto, se la battuta non è arrivata, hai quasi sempre sbagliato a scriverla.

Carlo Gabardini su Twitter

Come hai deciso chi seguire?

Per rispondere devo raccontare la genesi della mia storia con Twitter: ero alla festa per i 40 anni di Gianluca Neri. A mezzanotte la festa degenera in «Iscriviamo Carlo a Twitter», con Matteo Bordone che diceva «Tanto non lo capirà» e gallizio che mi scattava una foto e Sasaki Fujika e Ilaria e tutti che ridevano.
Ho avuto dei padrini d’eccezione. Tutta gente che è su Twitter. Ovviamente prima ho aggiunto loro, son stato obbligato; poi ognuno di loro mi ha suggerito chi aggiungere. Poi devo dire che io vago per consigli su chi seguire, retweet, follow friday, pagine a caso, e mi piace seguire senza molto discernimento. Fosse per me seguirei tutti. Poi sono all’inizio, quindi m’hanno detto che ho una dispensa, perché pare che bisognerebbe essere più selettivi, ma per ora a me piace leggere da Il Post al fan di Justin Bieber che scrive ‘ti amoooooooo’. È scrittura anche quella. Quindi sono in fase di ‘ti seguo’ compulsivo.

Secondo te, 1000 e passa follower ti seguono perché sei uno… famoso?

Direi proprio di no, anche perché se così fosse, sarei davvero poco famoso. Poi una parte magari c’è, però credo che molti non sappiano chi sono e soprattutto non gliene frega assolutamente nulla. Poi devo dire che non riesco a capire se 1000 siano tanti o pochi, forse perché ho scoperto Twitter grazie a gente che di follower ne ha migliaia, mentre quasi nessuna delle persone che conosco sa cosa sia Twitter. Ho 4 fratelli, una ventina di cugini e nessuno di loro ha Twitter.
Quello che mi stupisce e che mi piace, è che i follower te li vai a prendere uno a uno: dopo due ore da un retweet c’è uno che ti aggiunge; per capirci, una volta, mi ha ritwittato Dania, che di follower ne ha più di 23mila, ero felicissimo e lusingato, ma a fine giornata ho guadagnato solo un follower. Anche questo rimette a posto il tuo ego.

Carlo Gabardini su Twitter

Rispondi a tutti?

Rispondo se mi fanno una domanda e ringrazio quando rispondono a un mio dubbio o bisogno, ma quando a rispondermi sono in tanti davvero, allora rispondo a tutti in generale. È successo così quando ho chiesto se si poteva mangiare il riso scaduto: mi hanno risposto in 100. Una serata divertentissima, per me.

Carlo Gabardini su Twitter

Perché Twitter e non Facebook? (o sì e non ti ho trovato?)

Non sono su Facebook, perché uno si è finto me tempo fa. Per sei mesi ha usato una mia foto e ha aggiunto gente che conosco davvero, compreso il cast di Camera Café e facendo dei casini. Poi è sparito, ma io non ho preso il suo posto. Ero anche riuscito a parlargli senza svelarmi, e parlare con me stesso è stato molto divertente e istruttivo. Però credo che prima o poi lo farò, Facebook; mi incuriosisce un sacco.

Carlo Gabardini su Twitter

Twitter ha cambiato le tue abitudini? Ha migliorato (in qualcosa) la tua vita? 

Per sapere se il riso scaduto era ancora commestibile ho, come sempre, telefonato a mia mamma, ma ho anche twittato per ascoltare altri pareri. Se non è un cambio di abitudini questo? Poi, dopo 100 tweet mi sono convinto a mangiarlo. Il fatto che fosse la stessa risposta che m’aveva dato mia mamma due ore prima, è irrilevante; anzi: è accidentale.
Comunque, per il momento, le abitudini me le ha cambiate eccome; sarà perché sono all’inizio, ma per esempio sto di più a casa. Mi piace stare davanti al pc a scrivere e leggere cose su Twitter. Poi ho un Nokia 7020, non ho uno smartphone, ma ora mi sono deciso a comprarne uno, altrimenti muoio.

Carlo Gabardini su Twitter

Quando ti viene in mente una cosa da twittare e non sei al pc te la scrivi da qualche parte?

Sì, ma questa non è una novità, giro col taccuino da quando avevo 14 anni. Poi sono uno che tiene tutto. A casa ho le sceneggiature corrette a mano di sei stagioni di Camera Cafè. Sono 1800 episodi, tra le 7 e le 11 pagine a episodio. E così ho anche montagne di blocchetti e Moleskine e foglietti sparsi e quaderni. Quello su cui scrivo ora l’ho preso da Muji, 1 euro. Quindi appunti ne ho sempre presi a valanghe, però prima di Twitter tutto restava lì, ora non c’è solo il quadernetto, non è solo tutto lì dentro. Twitter ha reso pubblici i miei appunti. Una piccola parte.

 

Contenuti Extra
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* DI CHI È IL MIO ACCOUNT DI TWITTER? ::

La notizia: la BBC ha perso 60mila follower.
In breve: la giornalista Laura Kuenssberg, dopo aver lasciato il posto di corrispondente politico alla BBC per la ITV, ha rinominato il suo account di Twitter da @BBCLauraK a @ITVLauraK. Ai follower – guadagnati grazie al lavoro con la BBC – ha lasciato un messaggio, sperando di non perderli, invitandoli a seguire il nuovo corrispondente politico della rete.

Laura Kuenssberg on Twitter

Un altro caso: Charlotte Hawkins twitta come @skycharlotte e ha oltre 26mila follower. La giornalista di Sky News interagisce con i telespettatori prima e dopo il programma, durante la diretta come sottopancia viene visualizzato il suo nickname.

Tutta pubblicità! Sì, ma a chi?

Charlotte Hawkins

In Italia: il caso (di divorzio) è quello di Riccardo Luna, non più direttore di Wired, che continua – a differenza della giornalista della BBC – ad associare, nell’account @riccardowired, il suo nome con il brand della testata per il lancio della quale ha forse imparato a usare Twitter.

Riccardo Luna dice che non intende cambiare nickname.

Riccardo Luna su Twitter

È giusto? Sbagliato?
Sono curiosa, allora l’ho chiesto a Ernesto Belisario, avvocato esperto di diritto 2.0.

L’utilizzo di nuovi strumenti, da sempre, pone nuove questioni giuridiche (prima sconosciute): i Social Media non fanno eccezione a questa regola.
Specialmente all’inizio, aziende e professionisti si sono iscritti ai diversi Social Network Site senza pensare a quello che sarebbero diventati, non ponendosi alcune importanti questioni (ad esempio, cosa sarebbe successo all’account del giornalista in caso di passaggio ad un’altra testata).
Se questo atteggiamento disinvolto era comprensibile fino a qualche tempo fa, adesso non è più opportuno (né consigliabile) procedere in modo spontaneistico e disorganizzato; ormai conosciamo i Social Media e le loro principali implicazioni giuridiche, anche con riferimento all’organizzazione interna e ai rapporti tra aziende e collaboratori.
Di conseguenza, nell’ottica di un approccio strutturato, è assolutamente auspicabile l’adozione di un documento (c.d. “Social Media Policy”) in cui, tra le altre cose, disciplinare proprio quale uso i dipendenti possono fare di questi nuovi strumenti, definendo in modo chiaro tutti i profili più delicati, evitando polemiche e critiche, oltre a eventuale contenzioso.
Anche la BBC ha una Social Media Policy in base alla quale gli account che contengono “BBC” nel nome sono controllati dall’Azienda; questo significa che o la BBC ha consentito (con invidiabile fair play) alla Kuesnssberg di portare l’account con sé, oppure (visto che la policy risulta aggiornata il 12 luglio 2011) ha tratto insegnamento dalla vicenda e non vuole che si ripeta più un caso del genere.

In Italia come funziona (o come dovrebbe funzionare)?

Nel nostro Paese non funziona in modo diverso. Non vi sono regole specifiche in materia di Social Media (fortunatamente, visto il livello di “alfabetizzazione tecnologica” del nostro legislatore). Tuttavia, proprio per questo motivo, considerata la sempre maggiore importanza della presenza on line, un numero crescente di aziende di ogni settore inizia ad adottare proprie Social Media Policy, coinvolgendo in questo processo l’ufficio che si occupa delle risorse umane e quello legale. Ci sono, infatti, anche criticità legate allo Statuto dei Lavoratori (è vietata ogni forma di controllo a distanza nei confronti del dipendente), di privacy e – appunto – di titolarità dell’account.

Quindi, di chi è il mio twitter?

Parto da una considerazione banale: l’account è di chi lo registra, in quanto il profilo sui Social Media viene aperto stipulando un vero e proprio contratto con il fornitore del servizio (c.d. “contratto di social networking”).
Di conseguenza, se l’account è creato dall’azienda e promosso e controllato dalla società, anche se è gestito dal collaboratore come parte delle proprie mansioni lavorative, non v’è dubbio che ne sia titolare l’azienda. Viceversa, se è aperto dal singolo, non è controllato dal datore di lavoro, non viene utilizzato per rappresentare le opinioni della società, ne è chiaramente titolare il collaboratore.
Naturalmente, sono sempre più le aziende che nella propria Social Media Policy decidono di disciplinare anche l’uso che il proprio dipendente/collaboratore fa dell’account personale, specialmente con riferimento a tutti i possibili punti di contatto con l’attività lavorativa (ad esempio: rapporti con i colleghi, notizie apprese nello svolgimento dell’attività lavorativa, divieto di concorrenza).

Sono l’azienda: cosa posso fare?
Sono il giornalista: che rischi corro?

Poniamo il caso che si verifichi in Italia un caso simile a quello della giornalista della BBC. In assenza di specifiche disposizioni contrattuali, l’account aperto dal giornalista, su cui non vi sia alcun controllo dell’azienda, resta al collaboratore che può lecitamente cambiarne la denominazione.
Inoltre, a mio avviso, pur dovendo valutare la situazione caso per caso, è utile ricordare che le “Regole di Twitter”, espressamente richiamate dalle condizioni d’uso del servizio, prevedono che non possano essere usati nomi utente che corrispondano (del tutto o in parte) a nomi di aziende “che detengono diritti o marchi su quei determinati nomi utente”.
Di conseguenza, se fossi un’azienda, non potrei pretendere il trasferimento dell’account (e quindi del patrimonio di contatti), ma – nel caso in cui non venga cambiato il nome del profilo – potrei richiedere ed ottenere da Twitter la cancellazione dell’account che contenga il mio nome e, comunque, laddove l’account venga utilizzato per ingenerare confusione o sviamento in mio danno, adire le vie legali, ad esempio chiedendo il risarcimento dei danni provocatimi (anche per concorrenza sleale).
Di conseguenza, il giornalista è esposto ad una serie di rischi che vanno dalla chiusura dell’account ad azioni legali per concorrenza sleale e sviamento di clientela.

 

* A LEZIONE DA CHRIS ANDERSON ::

Se lavorate nei-con-su-per-tra-fra i social media e non sapete rispondere alla domanda: «Che lavoro fai?», questo post fa per voi.

marketer, una pubblicità a Lisbona

Anzi, più che da questo post, la risposta arriva da Chris Anderson, che come è noto la titolare di questo blog si definisce – con buon senso – guru dell’ovvio.

Cosa deve fare (e saper fare) un community manager?

  • scrivere bene
  • creare relazioni
  • migliorare la reputazione del brand
  • monitorare la community e intervenire creando un flusso di feedback continui per il brand
  • incoraggiare e ricompensare commenti e contenuti generati dagli utenti
  • stabilire best practices e strategie sull’uso dei social media
  • aiutare a costruire un network che ruoti non solo intorno al brand, ma che parta dai collaboratori (contributor).
Lo dice Wired, che sta cercando qualcuno in grado di lanciare e fare crescere la propria community e tra le attitudini richieste dall’annuncio non solo inserisce doti comunicative e capacità d’analisi, ma la cosa più importante è che specifica che la persona che supererà le selezioni diventerà la voce di Wired.

Il community manager è la voce del brand verso e dentro la Rete.

Una posizione fondamentale con responsabilità che spesso sono sottovalutate da quelle aziende che scelgono di stare distrattamente sui social media e che per questo lasciano che a occuparsene sia l’ultimo arrivato, quasi fosse un dispetto oltre che una cosa di poco conto.

Con chi lavora il community manager?

  • con la redazione
  • con il marketing
  • con i responsabili della comunicazione aziendale (per promuovere non solo il brand, ma le attività e iniziative in cui è coinvolto)

E dove la trovo una persona che risponda a queste caratteristiche?
Su Twitter.

Chris Anderson on Twitter

E in Italia?

Per chi non lo sapesse, Livia Iacolare è di nuovo sul mercato.

Livia Iacolare on Twitter

 

* APPUNTI SPARSI SU FOURSQUARE ::

Ho deciso di pubblicare i (troppi) post che ho in bozze. È come se avessi un taccuino pieno di appunti che non trovo il tempo di riordinare e condividere.

Parto da Foursquare, perché sono stata alla seconda Conferenza dei Sindaci prima di partire per le vacanze (di cui poi, ovviamente, vi parlerò).

You, Triennale Milano

Cos’è la Conferenza dei Sindaci? Forse è il fan club italiano di Foursquare. Forse.

Un’occasione per incontrare gente… che non ha paura di farsi trovare (e qui ci andrebbe una faccina, ma preferisco mettere un link all’ignite sulla geolocalizzazione che avevo fatto a febbraio al Forum della Comunicazione Digitale).

Cos’è Foursquare, invece, lo ha spiegato bene Francesca Casadei:

 
Sul perché usare Foursquare (o qualsiasi altro servizio di geolocalizzazione), Gianluca Diegoli, durante la Conferenza ha detto:

Legare le proprie emozioni ai luoghi è un bisogno ancestrale, lo facevamo con l’Uniposca sui muri, ora con Foursquare.

Pensavo che nessuno lo facesse più. E invece:

scritte sui muri nella metropolitana di Lisbona

E se fossi un’azienda? Alla fine la domanda è una sola:

Luca Conti su Twitter

 

* PUBBLICITÀ FATTE COL CULO ::

Se c’è una cosa che non capisco sono le pubblicità rivolte alle donne con donne ammiccanti come protagoniste.

Come se un paio di jeans indossati da una modella con le gambe aperte potessero sembrarmi più belli o un profumo più profumato se tenuto in mano da un’attrice nuda.

Mentre non mi piace – ma ne capisco il senso – se è un dopobarba a essere pubblicizzato con uno stereotipo femminile, i culi di Nuvenia perché dovrebbero convincermi a usare i salvaslip?

la pubblicità Nuvenia

Serve protestare, scrivere non mi piace?

Non comprerò più prodotti Nuvenia, lo prometto (neppure entrerò più da Intimissimi, se volete saperlo).
Ma le mie scelte contano abbastanza?

Per saperne di più:

 

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