La città impazzita per la Milano Fashion Week, le corse da un evento a un altro, le attese interminabili davanti agli ingressi delle sfilate. Fashion editor di tutto il mondo passano da NY a Londra a Milano. Senza tregua, ma con il jet lag.
Hai 20 minuti per passare da qui a là, hai meno di 5 minuti per mangiare, pranzi in quello che di solito è il tempo per un caffè.
No, non sto davvero facendo questa vita in questi giorni, a correre sono gli altri. Io non corro mai, o comunque molto raramente.
Diciamo che a me correre fa venire l’ansia, ma in alcune occasioni lo faccio volentieri. Come quella volta a Torino per vedere La Sindrome di Pantagruel, compresa la retrospettiva di Takashi Murakami, per la prima volta in Italia. Ultimo giorno, sette sedi espositive, diverse e sparse per tutta la città e anche oltre, fino al Castello di Rivoli.
La mostra era aperta da quattro mesi, ma rimanda oggi, rimanda domani, era rimasta solo un’ultima occasione. E di quell’occasione, poche ore.
Di quella giornata ricordo i viali larghi e scorrevoli, nonostante i tanti cantieri (ancora) aperti per le Olimpiadi invernali di Torino 2006, ma soprattutto la sala ricoperta di mattoni per l’installazione muraria di Doris Salcedo. Ci sono entrata di corsa, infilandomi quasi di nascosto, mentre seguivo una delle custodi del museo che si stava sincerando che fossero tutti usciti, prima di chiudere le porte e dichiarare conclusa la mostra.
Al Castello di Rivoli, non conoscendo Torino, c’eravamo arrivati dopo aver visitato le altre tappe. Alcune, giocoforza, le abbiamo saltate; altre avremmo potuto saltarle. Il Castello di Rivoli no. La Fondazione Sandretto che ospitava Murakami neppure. Ricordo un parcheggio a pochi passi dalla Mole e ancora adesso ci chiediamo perché sia stata presa come unità di misura per cose grandi, la Mole. Ho una mole di lavoro arretrato! Ma è piccola, la Mole!
Senza la tolleranza dei custodi che ci hanno visti piombare lì, poco prima dell’orario di chiusura, di fretta, correndo, con pochi minuti a disposizione, dopo 4 mesi dall’apertura; ma soprattutto, senza il Tom Tom non ce l’avremmo mai fatta. Mai.
E pensare che io non ho mai neppure preso la patente, ma – come Anna Wintour – alle mostre mi faccio accompagnare dall’autista.
Edit: questo post ha vinto il premio Viaggio per seguire le mie passioni di What you love!