Ovvero: se in trenta secondi ci sta tutta una notizia perché a noi, per raccontare un’idea, serve molto di più?
«Il lavoro degli architetti è dominato da metri e centimetri, cubici o piani.
Quello degli ingegneri edili da questi, ma anche da masse e quindi quintali, tonnellate.
Un macellaio misura la vita in etti o, tuttalpiù, in chili.
I microgrammi o le misure di peso infinitesimali delle quali nemmeno conosciamo il nome avvolgeranno il mondo di un chimico.
Io misuro la vita in secondi. Ossia, non come la gente normale, per la quale 30” sono un modo di dire (a proposito, ricordate quando si diceva mezzo minuto?), una misura che equivale ad un tempo molto ravvicinato, ma indefinito. Per me 30” sono trenta secondi, misurabili uno ad uno, e so che in ciascuno di essi posso infilare una parola, forse più d’una, posso sfruttare quel secondo per una pausa che dia più peso e significato a quello che dirò dopo. Anche se un secondo di pausa è lunghissimo, quasi un’eternità.
Ma questo avviene quando sono da solo, quando ho un microfono davanti e nessun altro al telefono o di fronte a me nello studio di Radio24; non avviene quando sto moderando un convegno o firmando un contratto o partecipando ad una riunione. In tutti questi casi quei secondi non sembrano bastare mai, perché si perde il controllo. A un certo punto il pallino finisce in mano, seppure momentaneamente, ad altre persone e in quel momento vorresti avergli dato una qualche lezione su quanti sono trenta secondi.
Lezione: quanti sono trenta secondi?
Trenta secondi è l’unità di misura fondamentale del giornalista radiofonico: una breve, ossia un testo che racconti un fatto complesso e che contenga gli elementi per contestualizzarlo, è idealmente di 30”.
Ad un collega che deve scrivere una breve, quando chiede quanto debba essere lunga, si risponde generalmente 30”. Ovvio, ci possono essere brevi più lunghe o più corte, visto che abbiamo a che fare con una lingua complessa e difficile da gestire come l’Italiano, ma la media resta quella».
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