– ciao Enrica, sono il fanclub
– ciao Domitilla: ma perché non ci siamo mai incontrate prima noi?
Non so, credo per strane congiunture astrali e casi della vita, e pigrizia a volte.
Ma ho rimediato un po’ di mesi fa grazie a una lezione al Talent Donna (a gennaio sì, ma ve l’ho detto che ho ripreso a scrivere sul blog perché ho tanti post salvati in bozze, no?)
E lì con Enrica Tesio in una mattinata ho imparato a preso appunti su come raccontare una storia, facendo una spirale, iniziando un racconto qui e portandolo lì (avete visto che mentre parlavo facevo un cerchio con la mano, vero? Anche Enrica gesticola molto, ho scoperto).
Tutto questo in 12 punti. Ma non lo so perché 12 ché credo di essermi distratta.
Poi ho messo altre frecce, ho scritto altre cose. E alla fine è uscita fuori una mappa.
E ora, tornata entusiasta da Firenze dove sono stata ospite di Coop Reno a raccontare – come mi piace ripetere ridendoci un po’ – sempre le stesse cose, vi racconto come sono arrivata fin qui.
La storia inizia così
ovvero: quella volta che avevo paura di non essere brava
Ero a Venezia, avevo 18 minuti. Era il 2011.
Dovevo dire delle cose interessanti. Mi avevano chiamato per quello, mentre io avevo risposto con i nomi di chi secondo me avrebbero dovuto chiamare al posto mio:
mai sentito parlare della sindrome dell’impostore?
Avevo un elenco lunghissimo, ma no: volevano che ci andassi io a Venezia (è da lì che non ho poi mai smesso di tornarci).
Dovevo dire delle cose interessanti e allora ho iniziato a fare quello che sapevo fare: dire quello che faccio io, che poi è quello che racconto sempre.
Parlo di me perché sono l’esempio che conosco meglio
Dovevo raccontare Internet. Non avevo le slide. Non avevo idea di quanto fossero 18 minuti. Non avevo un timer. E pensavo che lì sul palco in quell’aula magna dell’università di Venezia ci fosse con me gente che ne sapeva più di me (e forse pure in platea). Io su un palco non ci ero mai salita prima. Neppure quando facevo il corso di teatro ché poi avevo trovato una scusa per non prendere parte allo spettacolo finale.
sul parlare di sé in Rete: parlo di me perché un po' mi conosco, dice @BlogTiasmo
io dico sempre che parlo di me perché sono l'esempio che conosco meglio #talentdonna
— Domitilla Ferrari ⛵️ (@domitilla) January 13, 2018
Ero lì, dunque, a raccontare Internet e allora non ho raccontato di Internet ho raccontato cose che succedono anche fuori dalla Rete: ho raccontato la mia storia e di quella volta che sono entrata in una comitiva nuova, che mi sono presentata, poi ho dimenticato – come faccio sempre – i nomi di quelli che mi avevano presentato – e via via che dicevano il proprio nome, mica dopo.
Un mio amico che vive a San Francisco dice che lì hanno un metodo (gli americani scrivono un sacco di libri sul metodo giusto per fare le cose perché evidentemente hanno sempre un metodo per far tutto): il metodo giusto per ricordarsi i nomi è ripeterli subito dopo.
– Ciao, sono Paola.
– ciao Paola, io sono Domitilla.
No, non funziona.
E anche su Internet per me va così: se aggiungi tra i contatti un sacco di gente mica lo sai chi sono.
Quella volta ho spiegato Internet come lo faccio io che la riempio di persone e le collego:
- con altre persone
- con i miei interessi.
E così me le ricordo. È il mio metodo.
Quello di cui parlo sempre e che si basa sulle connessioni di storie e persone.
EXTRAS
Una lezione su tutto insieme: social media, giornalismo, nuovi modi per… stare al mondo, Michelle Obama su The Verge.
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Lì a Venezia a quanto pare, poi, sono stata proprio brava perché all’univesità ci sono tornata un sacco di volte e ci torno da dicembre per il 6° anno a insegnare Comunicazione Digitale e Social Media.
Da un po’ il mio corso – che tengo il sabato – è aperto anche a studenti non frequentanti tutto il master.
Per iscriversi al corso singolo c’è tempo fino a fine novembre e visto che si tiene all’interno di un master si conclude con un attestato universitario. Le informazioni sono qua.
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Tagged: extras, psicologia, storytelling