* VITA PUBBLICA E VITA PRIVATA AI TEMPI DI INTERNET::

Quanto vale la mia opinione?
Che peso ha sul mio cv la mia presenza online ?

Non ho adottato una policy di gestione online della mia vita privata: faccio check-in a casa, al lavoro, dal parrucchiere, al supermercato. Non ho lucchetti su Twitter e socialnetwork vari, su Facebook ho creato delle liste: amici, parenti, colleghi, gente mai vista… ma solo per tenere tutto in ordine perché accetto più o meno tutti (tanto amici è una parola grossa).

Domitilla Ferrari cc Luca Sartoni

Credo che la risposta a questi e altri dubbi sia – per me – una sola: io sono così come mi leggete. Il che mi semplifica la vita.

Lo immagino come un vantaggio per tutti. Anche per l’azienda per cui lavoro.

Ma ha davvero senso mettere la nostra faccia, il nostro nome, la nostra reputazione, i nostri blog, i nostri Twitter al servizio di questo o quel cliente / partner / sponsor / inserzionista / whatever? Cioè, sono nostri o sono del nostro datore di lavoro? E a lui, al nostro datore di lavoro, nel caso conviene davvero?

A lanciare  la questione è Marco Mazzei nel post A tutti noi che lavoriamo sul web: il dubbio.

L’ha rilanciata con una domanda Giuliana Laurita: Ma tu, blogger, ci sei o ci fai?

Visto il lavoro che faccio, la risposta la rubo a John Robinson, interpellato da Mark Glaser in Personal Branding becomes a necessity in Digital Age e citato da Personal Branding, di Luigi Centenaro e Tommaso Sorchiotti, Hoepli, libro da cui ho preso anche la citazione successiva.

Quando i giornalisti aggregano una tribù di affezionati, aiutano nello stesso tempo la testata. I giornali dovrebbero incoraggiare i loro reporter a sviluppare il proprio Brand.

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Io mi aspetto che il primo a promuovere un contenuto sia chi lo ha creato.
Non è sempre così: perché?

Che il mio lavoro sia scrivere contenuti o creare opportunità di marketing il discorso non cambia. Secondo me l’importanza della mia reputazione online, del mio personal branding, delle mie opinioni/esternazioni online non cambierebbe neppure se vendessi prosciutti.

Se lavori per un’azienda, è probabile che alcuni affari si siano concretizzati grazie a te, perché il cliente si fida di te e della tua reputazione ancora prima di quella della tua azienda. Ecco perché si può dire che il Brand di un’azienda sia fatto anche dalla somma dei singoli Brand dei dipendenti.

Il fatto che io senta così spesso gente chiedersi quanto sia giusto o sbagliato che un’azienda chieda ai propri dipendenti di condividere, di spendere la propria immagine per testimoniare un prodotto, mi fa pensare che interagisco con persone che non amano quello che fanno. O che non sono trattati bene dalle aziende per cui lavorano.

Identificarmi con il lavoro che faccio per me è importante: vivo in ufficio per la maggior parte delle ore della mia giornata. L’odio mi consumerebbe.

 

[nella foto – del 2009 – sono al Social Media World Forum, a Londra e sì avevo il pancione]

 

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