* 4 DOMANDE E 10 CONSIGLI ALLE MAMME BLOGGER ::

Come guadagnare con il blog?
Non lo so.
Ovvero, sì, lo so e ora te lo spiego, ma non farti illusioni. Una cosa sono i ricavi, un’altra i guadagni.

Iniziamo dalle basi.

QUANTO COSTA UN BLOG?

Quali sono i costi di un blog?
Fai un elenco: hosting, template, grafica… e, soprattutto, quanto vale un’ora del tuo tempo?

Quante ore impieghi per scrivere un post?

Ne è valsa la pena?

Per me sì: ho aperto un blog nel 2003 per dire la mia – come tutti a quei tempi – sui fatti di cronaca e sui fatti della vita (non solo della mia). Ho imparato a fare il lavoro che ho grazie all’uso che faccio della Rete.

Sia chiaro, però, avere un blog non dà nessun titolo a fare il mio lavoro. Come pure avere un account su tutti i social network.

QUANTO SI GUADAGNA CON I BLOG?

Oggi i publisher pagano dai 3 ai 15 euro a post. Quando pagano. I siti d’informazione, forse, un po’ di più. Molte aziende, invece, cercano produttori di contenuti per corporate blog e siti vari. In questo caso, spesso a discapito della firma, i compensi si alzano.

Un post va pagato quanto vale e di solito vale di più se:

– è scritto bene
– è scritto per il web
– è originale (e – perché no? – pure creativo).

Sai scrivere? Forse potrebbe interessarti essere su Amplr. Anche se temo che risponderanno anche quelli che non lo sanno fare.

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* PERCHÉ NON ABBIAMO INVENTATO NOI FACEBOOK, TWITTER E GOOGLE? ::

Il (mondo del) lavoro è cambiato. Si studia per anni senza saper far nulla. Non c’è più la gavetta, ma ci sono stage mal gestiti e lavori mal pagati. C’è la crisi. Le aziende non assumono e, anzi, licenziano. Sono d’accordo, ma lamentarcene senza far nulla non farà cambiare le cose.

È vero che il lavoro non c’è? Serve cambiare prospettive, puntare su competenze e lavori e smetterla col ricatto del lavoro dal nome che fa scena.

Facciamo insieme un elenco dei luoghi comuni che si ripetono sul mondo del lavoro?

Che niente è più lo stesso, che non c’è più il posto fisso, che i giovani devono cambiare prospettive (se non Paese). Perché solo i giovani, poi? Tutti noi dobbiamo cambiare prospettiva: il lavoro è cambiato, va bene, ma ora smettiamo di dirlo.

parole del lavoro

L’ho scritto in Due gradi e mezzo di separazione, a pagina 119, dove racconto anche che una delle categorie più cresciute in più negli ultimi anni è quella dei freelance.

Qui, invece, è dove ti consiglio di andare a fare una gita a Marina Romea il 24 e 25 maggio per il freelancecamp. Perché in due giorni che tu sia freelance, che tu finga di esserlo o che fingere che tu lo sia è l’azienda per cui lavori, o che tu stia pensando a mollar tutto e darti da fare questa è l’occasione per incontrare professionisti che ce l’hanno fatta e che racconteranno come organizzano il proprio lavoro, come fanno rete, come usano la Rete.

Lamentarsi non porta da nessuna parte.

Volevo scrivere una cosa lunga sul lavoro, di nuovo, ma poi Giulia Blasi, parlando del concerto del primo maggio e delle ricorrenti (e inutili) polemiche sul lavoro, lo ha fatto meglio chiedendo:

perché gli americani hanno inventato Facebook, Twitter, Google e noi no? Siamo più scemi, o semplicemente non riusciamo a immaginarci più nulla oltre l’esistente?

Magari non siamo tutti dei geni, ecco, però c’è qualcosa di stantio nel modo in cui si pensa al lavoro ed è innegabile.

Se vieni allevato con l’idea che qualcuno ti debba “dare lavoro’, che il lavoro sia un diritto che deve essere garantito a vita dalla “politica‘ e dalle imprese, non ti resta molto spazio per l’immaginazione e per inventarti non dico un modo per campare, ma addirittura – cielo! – un modo per fare a tua volta impresa, per creare lavoro e per dare lavoro a chi non ce l’ha.

(…)

Il problema, ovviamente, è anche che la narrazione del lavoro è attualmente affidata per intero ai sindacati che difendono un settore specifico dell’economia italiana, ovvero il manufatturiero e le fabbriche. Ma non c’è più solo quello, anzi, al contrario: mentre i sindacati si aggrappano a un’idea di lavoro ormai limitata quando non proprio obsoleta, il famoso terziario avanzato langue, senza rappresentanza, senza narrazione e in apparenza senza necessità specifiche.

Il post di Giulia Blasi vale anche per la raccolta: Del perché non si cancellano i commenti. E io non ho altro da dire. Applausi.

 

Link di post in cui parlo di cose di lavoro:

 

* CON CALMA E SENZA FRETTA ::

Due gradi e mezzo di separazione è uscito il 18 febbraio. In due mesi sono stata invitata a presentarlo alla Social Media Week a Milano, poi a Mantova, Cremona, Padova, Vicenza, Verona, Roma, Como, Brescia, Crema, di nuovo a Roma, alla Camera dei Deputati.

Sabato sono stata a Arese e il giorno prima di nuovo a Milano: 13 presentazioni finora e a fine maggio saranno 20.
Facendo una brutta media sono sei al mese, una presentazione (e mezza) a settimana. E sì, non riesco più a trovare il tempo – tra lavoro, studio e tutto il resto – di aggiornare il blog.

Quindi, con calma e senza fretta, ecco un po’ di considerazioni sparse dal tour su futuro, reti e Rete, quote rosa e le domande più frequenti che mi fanno durante le presentazioni.

Qui c’è un album con un po’ di fotoricordo, mentre qui su sono a Crema, con Elisa D’Ospina a Vicenza,  a Libri Come a Roma con Andrea Vianello, con Philip Di Salvo a Como.

La Camera dei Deputati

Qui c’è il video dell’evento Come Internet facilita le relazioni, accorcia le distanze e crea nuove opportunità di lavoro che si è tenuto nella Sala del Mappamondo di Palazzo Montecitorio.

Lì, per me, Vincenzo Cosenza, Simone Spetia e, di nuovo dopo la Social Media Week, Massimo Russo e Giovanni Boccia Artieri.

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* IMMAGINI E IMMAGINE ::

Per quelle cose belle che mi capitano (sempre più) spesso, durante la Milano Fashion Week Canon mi ha invitato a parlare di immagini e immagine, ovvero di come e perché le immagini siano così importanti nella narrazione digitale.

Guardiamo le gallery come una volta sfogliavamo il giornale guardando solo le foto o, nei libri, le figure. Con sempre meno tempo per leggere tutto, la nostra attenzione viene attirata da ciò che brilla: foto belle sì, ma con un significato.

Così io e Massimo Fiorio, @dietnam, abbiamo raccontato – parlando tanto anche dei fatti nostri – come anche attraverso le immagini diciamo spesso più di quello che scriviamo su ciò che sappiamo (e sappiamo comunicare). No, non ho dimenticato di citare la #colazioneacasapesce.

Qui c’è uno storify delle chiacchiere che abbiamo fatto, qua quello che ha raccontato Myriam Sabolla.

Canon

Di queste considerazioni ce ne sono tante che secondo me non condividono Milo Sciaky (che però qua ha detto selfie, ci sono i testimoni) e Anna Turcato (che mi ha fatto conoscere Elena Acha di cui ho indossato il vestito che vedete qua su).

* SULLE QUOTE ROSA, ANCORA ::

Mentre un treno – in ritardo – mi portava a Vicenza per la presentazione di Due gradi e mezzo di separazione, ho scritto un commento per La Stampa.

La Stampa

Un po’ ho temuto la polemica. Anche io, sì io che penso che la polemica, se motivata e non sterile, serva a spingere la conversazioni oltre la difesa dei nostri interessi personali e trovare come fare un passo avanti verso l’interesse comune.

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