* IN COSA SONO DIVERSI MAMMA E PAPÀ ::

Ci ho pensato e ripensato. Scrivere o no un altro post sul tema della genitorialità? Non sono un’esperta, ho l’esperienza di essere una mamma che lavora e una donna con amiche mamme e non.  Alcune di loro lavorano in ufficio, altre da casa, altre fanno solo le faccende di casa. Magari non servirebbe una premessa, ma – letti i commenti che solitamente sollevo alle mie provocazioni – penso sia necessario: lo so che il mondo è vario, so che non tutti e non tutte lavorano, so che il lavoro è cambiato, che i tempi delle città sono diversi da quelli dei paesi più piccoli. So anche che in alcune famiglie ci si può permettere di avere un solo stipendio e che in altre famiglie non è una scelta. Ho lavorato in modi e con contratti diversi anche io, negli anni.

Fare la mamma non è un lavoro, né dovrebbe esserlo. Come non è un lavoro fare il papà. E essere genitori non dovrebbe essere vissuto come un obbligo per nessuno. Le donne dovrebbero scegliere di diventare mamme con uomini che vogliono diventare (e fare) i papà.

E questa è la mia idea di conciliazione: mamma e papà non sono diversi. Sono complementari. In tutto, parto e allattamento a parte, ovviamente. Ma il biberon possono darlo sia la mamma che il papà, ma anche la nonna, il nonno, un’amica, la vicina di casa, la tata, se serve, o la nuova fidanzata del papà, succede!

Non è necessario che dica che anche cambiare il pannolino possono farlo mamma o papà senza nessuna differenza? E il bagnetto, anche.
Insomma, fin qui tutti/tutte d’accordo?

Allora, esattamente, in cosa sono diversi mamma e papà?

Un po’ di ipotesi:

– gli uomini fanno carriera più spesso delle donne, per cui quando c’è da sacrificarsi sono le donne a farsi indietro;

– gli uomini fanno lavori meglio pagati delle donne, quindi, anche lavorando entrambi è la mamma a decidere di prendere una pausa lunga e non il papà;

– maternità e parternità non sono omologati: il papà, solo per fare un esempio, a differenza della mamma, non può prendere un permesso giustificato dal certificato di malattia del figlio, quindi anche per un paio di giorni di influenza è la mamma a dover restare a casa.

Ma in attesa che le cose cambino – continuando a chiederlo -, cosa possiamo fare?

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DIVIDERE EQUAMENTE I COMPITI

Io cucino, tu sparecchi.
Tu cucini, io sparecchio.
Io porto i bambini all’asilo prima di andare in ufficio, ma tu ti organizzi per portarli a fare sport, alle feste, dal pediatra. O viceversa.
Io stiro, ma tu ti occupi della contabilità, per esempio.
Oppure, io sono più brava con la contabilità di te allora tu stiri. Non sai farlo? Neppure io. Qualcuno deve farlo e perché deve essere un compito… da donne?

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EDUCARE I BAMBINI A NON FARE DISTINZIONI

I figli si educano in due, o in tre, quattro, otto (in base al numero di nonni presenti/utilizzabili).  Se io lo sgrido tu non gli fai un regalo. Se io lo mando a letto senza tv tu non gli permetti di vedere i cartoni animati dopo cena. Se mio figlio fa la cacca non chiama me, chiama o me o il papà. Se la notte si sveglia non chiama me, chiama il me o il papà. O se chiama me e va il papà non piange perché vuole me.
Gioca con me alla lotta. Gioca col papà alla lotta. Fa i biscotti con me, balla col papà. Corre con entrambi. Anche quando io esco di casa di corsa con i tacchi.

Queste un po’ di cose a caso, che mi sono venute in mente leggendo i commenti qua e là al mio post su donne e lavoro, che poi diventa sempre che donna è un sinonimo di mamma chissà perché.
Questa volta non racconto quello che succede a casa mia perché mi andava di fare esempi possibili. Io, a quanto pare, non sono stata brava, sono stata fortunata a organizzare la vita così come ce l’ho.

[foto: coleydude]

 

* 5 COSE DI DONNE E DI LAVORO ::

Sempre pronte a lamentarci di tetti di cristallo (da lavare) e pavimenti appiccicosi che non ci lasciano andare, che le statistiche son quelle che sono, che le donne guadagnano meno, che sono poche quelle (davvero) al potere, ma cosa facciamo davvero per cambiare le cose?

Io ho appena speso 7000 euro: è la seconda rata della tassa dell’Mba della Bocconi. La seconda. Di rate ne dovrò pagare altre e per farlo ho anche chiesto un prestito d’onore tramite l’università: il master in business administration che sto frequentando costa 36.500 euro e non è costoso solo economicamente. Tre sere alla settimana sono in classe, dopo il lavoro, dalle 19 alle 21 e terminate le lezioni mi fermo lì a studiare. Devo sostenere 30 esami in totale, devo studiare. Torno a casa a a mezzanotte, il giorno dopo vado in ufficio. Due volte al mese ho lezione anche di sabato e alcune volte di venerdì. Sarà così per due anni, fino a giugno 2015.

Sogno un mondo in cui le donne non siano obbligate a fare rete, ma che non facciano stragi accoltellandosi tra loro.

1. È possibile per le donne farcela e – più che farsi avanti – non farsi di lato?

2. È possibile per le donne non essere vittime degli stereotipi legati alla maternità che loro stesse, spesso, creano?

3. È possibile che la famiglia smetta di essere un alibi al successo delle donne sul lavoro?

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4. È possibile che le donne siano leali con le altre donne e se una fa carriera non sia «Perché è zoccola»?

5. È possibile che le donne smettano di lamentarsi di non riuscire a far carriera e, finalmente, si diano da fare perdendo meno tempo a spettegolare?

Così, chiedevo.

Post ripubblicato su Medium Italiano l’8 marzo 2016.

 

* INDICI DI SUCCESSO (SULLA CARTA) ::

Leggo poco spesso giornali di carta, i quotidiani quasi non più.
Leggo tanto online, ma non solo contenuti nati per l’online. Insomma, non leggo solo roba scritta in modo da uscire in alto nei risultati di ricerca.
Non leggo nulla – ora che ci penso – cercandolo su Google. Tranne voci di Wikipedia (a volte anche a caso).
Leggo – avendo scelto bene chi seguire – cose che mi interessano sul mondo, la politica, l’Italia, l’Internet, la qualunque, perché le trovo su Facebook, su Twitter, a volte via email (le newsletter sono la mia fonte d’informazione preferita).

Leggo online cose che non sempre sono cose scritte online. L’Amaca di Serra, il Buongiorno di Gramellini, la lettera di Carlo Gabardini su Repubblica, per esempio.
Serra e Gramellini li leggo online perché qualcuno – a loro insaputa – ce li mette. Senza copiarli. Citando la fonte, anzi, meglio: fotografando la pagina, spesso. Io fossi in loro ne sarei felice, non so se lo sono quelli de La Repubblica e La Stampa.

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La carta che arriva online in forma di carta. Altro che native content. E ci arriva con uno share, un tweet, una foto quadrata di Instagram (e L’Amaca sembra fatta apposta, a pensarci).

E allora non ti serve vedere quanta gente è andata a leggere il tuo post, da dove, quante pagine ha visto prima e dopo, se ha sfogliato tutte le foto della gallery.
Se scrivi sulla carta (e sicuramente non puoi sapere con certezza se il giornale lo abbiano comprato per leggere te) allora come fai a sapere se stai facendo un buon lavoro, se alla gente piaci, se quello che scrivi è ancora interessante?
Devi cercare online, vedere se ci sei a tua insaputa e capire se la gente parla di te e come.

 

* 10 COSE CHE HO IMPARATO SULL’ORGANIZZAZIONE ::

Ho superato il secondo esame dell’MBA, quello di Disegno Organizzativo. Sono a 2 sui 30 che dovrò fare in due anni. Ditemi pure brava senza ritegno.
Per festeggiare ecco le 10 cose semplici che ho imparato sull’organizzazione aziendale del lavoro, sui meccanismi di controllo di team e tempo libero. Circa.

1. Viviamo in organizzazioni. Per produrre risultati dobbiamo essere organizzati.

2. Dobbiamo dare il buon esempio, perché:

Le forze demografiche, culturali e sociali – come l’età il livello d’istruzione, lo stile di vita, le norme, i valori e i costumi di un popolo – influenzano i clienti, i manager e i dipendenti di un’organizzazione.

E se ci giustifichiamo noi, giustifichiamo gli altri a far male (della spirale verso il basso ne parlavo qua, ma vale per ogni cosa).

3. Dobbiamo collaborare:

La differenziazione orizzontale dovrebbe consentire alle persone di specializzarsi, e quindi di diventare più produttive. Le aziende, tuttavia, hanno scoperto in molti casi che la specializzazione limita la comunicazione tra sotto-unità e impedisce loro di apprendere l’una dall’altra.

4. Dobbiamo fare team, ma non troppo:

Le ricerche hanno dimostrato che gruppi di lavoratori possono sviluppare norme che riducono la performance.

Ci sono aziende in cui il corridoio parla poco, altre in cui parla troppo e, quando la situazione degenera, si parla di groupthink che

(…) ha luogo quando i suoi membri sminuiscono l’importanza delle informazioni negative o contrarie alla visione della maggioranza del gruppo.

Come si evita? Facendo circolare le informazioni, ma non solo quelle ufficiali (e al momento della loro ufficializzazione per prevenire lo sviluppo delle dicerie).

organizzazione

5. Com’è che si diceva: mal comune mezzo gaudio?

Ogni organizzazione ha una struttura informale che non appare negli organigrammi, ma è nota a tutti i dipendenti.

6.  Esiste un mercato interno del lavoro, val la pena di ricordarlo soprattutto quando nel mercato del lavoro, esterno, non c’è un gran movimento.

7. La gente protesta sempre, spesso senza (voler tentare di) capire.

Quando avviene il cambiamento, le persone tendono a focalizzarsi soltanto su come esso influirà su di loro, sulle loro mansioni o sulla loro unità di appartenenza, tralasciando l’impatto generale.

8. Meglio fare un passo alla volta.

Uno degli errori che i top manager commettono spesso nel gestire il processo di innovazione è cercare di dare avvio a troppi progetti contemporaneamente. Il risultato è che le limitate risorse finanziarie, umane e funzionali vengono parcellizzate su troppi progetti diversi.

9. È possibile giudicare un capo da come si comportano i collaboratori.

10. Se partiamo a parlar male delle cose che viviamo potremmo continuare a parlare a lungo.

 

Le citazioni sono prese dalle pagg. 61, 95, 103, 281, 137, 282, 384 di Organizzazione. Teoria, progettazione, cambiamento di Gareth Jones (Egea).

 

* DI ME CHE NON VOLEVO FARE BUONI PROPOSITI ::

Non volevo fare buoni propositi. L’anno scorso ne avevo pensato uno – vedere più spesso gli amici – e ne ho realizzati senza preavviso un bel po’:

1. ho scritto un libro, dimenticassi di non citarlo in ogni post;

2. ho insegnato all’università cose che so e che torno a insegnare quest’anno: le lezioni riprendono a Padova il 25 gennaio;

3. ho superato il test di ammissione per un MBA in Bocconi che ora sto frequentando (e continuate a dirmi brava che ho bisogno di pacche sulle spalle);

4. ho continuato a trovare del tempo libero da donare e se quest’anno sarà un po’ più difficile per fortuna c’è Beatrice a darmi una mano (perché ci sei Beatrice, vero?);

e adesso… cosa mi invento?

5. la prossima settimana io e Maurizio abbiamo da festeggiare che mi conosce da 10 anni e continua a sopportarmi. La prima cosa che mi ha detto un amico che ha terminato un MBA anni fa quando gli ho raccontato che avevo intenzione di iscrivermi è stata: sappi che è dura, mentre lo facevo ho divorziato.

Facciamo che non divorzio quest’anno, ok?

nerds@work

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